Manuela Bandiera era considerata una bella promessa del ciclismo femmi­nile ma purtroppo una tragica sorte l'ha portata via nel fiore degli anni.
Al riguardo, pubblichiamo il commosso ricordo della mamma di uno uno dei ragazzi che furono testimoni impietriti di quella disgrazia sulla strada.

Quel pomeriggio, come tante altre volte, Manuela Bandiera, 19 anni, era uscita in allenamento con la squadra del fratello Cristian, dieci allievi e un allena­tore. Era il 26 marzo 1996, un martedì, e i giovani atleti si preparavano al grande debutto stagionale che sarebbe stato la domenica a Calderara. Con i due fratelli Davide e Cristian, di 14 e 15 anni, Ma­nuela condivideva la passione per la bici­cletta, sostenuti dal papà, sempre impegnato nel dare una mano nell'orga­nizzazione delle corse, perché la bici­cletta era una passione di famiglia. I tre fratellini Bandiera erano cresciuti nella Calderara: giovanissimi, esordienti, allievi, ma l'anno prima Manuela aveva dovuto cercarsi una sezione femminile e si era trasferita nel Vigarano Mainarda. Durante la settimana, però, continuava ad allenarsi con la squadra del maggiore dei due fra­telli, che era allievo, mentre l'altro fratello più giovane era esordiente.

Il gruppo stava percorrendo via Bagnarese, una strada fra Budrio e Castenaso, quando un camion carico di fieno urtò con un parafango, si disse, un pedale della bici di Manuela, tra­scinando la ragazza sotto le grosse ruote.

Mio figlio David Colgan è uno di quei dieci allievi dell'ultimo allenamento di Manuela.

"Quel giorno non c'era il sole", ricorda oggi David, a distanza di ven­t'anni. "O almeno io la ricordo come una giornata buia, forse per quello che accadde. Manuela aveva iniziato a venire con noi, non veniva sempre. Noi avevamo cominciato a fare il circuito di Castenaso, in una zona verso Vedrana, dove c'era poco traffico, e facevamo della velocità. Era un circuito di 5-6 chilometri che ripetevamo dieci volte. Quel giorno io ero in testa alla fila, Manuela era in fondo. Quando facevamo velocità, lei rimaneva un po' indietro e a testa bassa tentava di recuperare, ci raggiungeva un po' affannata. Vidi venire verso di noi quel camion carico di balle di fieno che occupava tutta la carreggiata. Ci stringemmo a lato della strada per lasciarlo passare. C'eravamo tutti, meno Manuela che era rimasta staccata. Ho sempre pensato che se andavamo più piano e lei non si staccava forse non sa­rebbe successo, mi sono sempre sentito in colpa per questo. A venti metri vedo il camion che ballonzola, come se superasse un dosso. E vedo la sua casacca azzurra per terra. Lei era là, accasciata sotto il camion. Arrivò l'ambulanza, poi l'elicottero, ma il corpo di Manuela fu coperto con un lenzuolo. Noi ragazzi eravamo radunati vicini al cancello di una casa bianca, anche Cristian, suo fratello. Rimanemmo lì molto tempo, un'ora o due, non saprei. Avevamo quindici anni, eravamo impietriti, sotto choc, in mezzo a una strada di campagna che sembrava un posto tranquillo, dove non avremmo mai pensato che potesse succedere una tragedia del genere. Arrivato a casa, non ebbi il coraggio di raccontare alla nonna, che mi stava aspettando ed era preoccupata per il mio ritardo, cos'era successo, perché lei stava sempre in pensiero quando ero fuori in allenamento".

"L'abbiamo vista crescere, ha iniziato a pedalare da noi che era ancora una bimba, come i suoi fratelli", disse commosso il presidente dell'UP Calderara Ciclismo Dimer Rinaldi.

Ai funerali di Manuela parteciparono le squadre della Calderara al completo, nelle loro divise da corsa con i colori rosso e blu su campo giallo. Giallo come i ranuncoli che erano appena fioriti sul bordo di quella strada di campagna, dove in una fresca giornata d'inizio primavera si spezzarono i sogni di un'adolescente che amava correre in bicicletta. E chissà, forse un giorno sarebbe diventata una campionessa. Ma - com'era scritto nel suo ricordo - "l'Angelo quel giorno mi ha messo le ali e mi ha insegnato a volare, così ho attraversato le strade stellate fino al Paradiso".

Paola Giovannini