Davvero una bella cenetta in casa di Pietro con ottimo prosciutto San Daniele e un vino bianco, pignoletto e verdicchio, che andava giù che era un piacere (una cenetta preparata dalla moglie Carla purtroppo scomparsa dopo lunga malattia a 69 anni mentre il libro andava in stampa).

Ovviamente fra un bicchiere e l'altro si è parlato dei tempi andati, di quando Pietro correva (ha vinto più di una cinquantina le gare) e di aneddoti interessanti ne sono saltati fuori a iosa. Vicende felici ma anche tristi. Tristi come quella che nel 1963 gli impedì di passare al professionismo a causa di un incidente in alle­namento che lo costrinse a restare al Rizzoli per sei mesi. "Avevo già il con­tratto in tasca per andare alla Salvarani assieme a Ronchini e Pambianco ­spiega Pietro —, ma quell'incidente me lo impedì. Successe che nel ritiro in riviera andai a scontrarmi con un'auto e la mia carriera ciclistica si chiuse lì".

Ma anche ricordi felici per Arbiz­zani, come quell'esaltante vittoria nella Bologna - Castellania del 1961: "Lungo la salita finale di otto chilometri - rac­conta -, venni fuori dal gruppo di prepo­tenza e andai a riprendere i fuggitivi che avevano oltre cinque minuti di vantaggio. Non solo li raggiunsi, ma li staccai di brutto rifilando al secondo arrivato oltre due minuti di distacco. Ma la cosa più bella è stata dopo la corsa, quando as­sieme a Giulia Occhini, la compagna di Fausto Coppi (la famosa dama bianca) andai a deporre sulla tomba del campio­nissimo il mazzo di fiori che avevo rice­vuto dagli organizzatori. Una cerimonia molto toccante".

"Ed è anche molto bello — prosegue Arbizzani — il ricordo che conservo della Badini del Tongo di Sala Bolognese, dove svolgevo la mansione di direttore spor­tivo. Il presidente Corrado Badini aveva una vera e propria venerazione per me, un affetto addirittura da padre. Spesso lo staff si riuniva nella sua tavernetta di Sala mangiando e bevendo in allegria. Un tempo felicissimo, forse il più bello che ho vissuto nell'ambito del ciclismo".